C’erano molti nomi di peso tra gli esponenti della comunità d’affari cinese accorsi ad ascoltare il discorso di Mario Monti all’ambasciata d’Italia a Pechino lo scorso 30 marzo. Top manager come Guo Tianmin, vicepresidente del colosso delle telecomunicazioni Huawei – che nel novembre scorso ha inaugurato a Segrate un nuovo importante polo per la ricerca e sviluppo del gruppo in Europa – e Zhan Chunzin, presidente della Zoomlion, che con l’acquisizione dell’italiana Cifa nel 2008 ha creato il primo gruppo mondiale di meccanica per l’edilizia.
“Magari aumenteremo il voto che abbiamo assegnato al vostro paese” ha scherzato Guan Jianzhong, il presidente dell’agenzia di rating cinese Dagong, che nel dicembre scorso aveva estromesso l’Italia dal giro dei grandi declassando il debito pubblico tricolore da “A-“ a “BBB”. E ancora: il portavoce del colosso degli elettrodomestici Haier, il presidente di China National Textile Zhang Yan Kai e il rappresentante della Camera di commercio internazionale Cinese Yu Ningning non sono mancati all’appuntamento con Monti. Monti ha illustrato ciò che sta avvenendo in Italia in questi mesi, a partire dalle riforme varate dal governo, e nel corso della tappa cinese ha ribadito più volte che la crisi è “sostanzialmente finita”. Alla fine del discorso i funzionari si sono trincerati dietro la tradizionale discrezione, ma il premier italiano è sicuramente riuscito ad attirare un parterre di tutto rispetto.
È possibile considerare il viaggio un successo? Come sempre, dipende dalle aspettative che si avevano alla vigilia. Chi si attendeva un ritorno in Italia con contratti in tasca è rimasto deluso, ma d’altronde al seguito del premier non c’era – volutamente – una missione imprenditoriale. Si è trattato di un roadshow per mostrare i notevoli progressi compiuti in pochi mesi e guadagnare fiducia presso funzionari e investitori asiatici, com’è stato ribadito a più riprese dal presidente del Consiglio. La fiducia è un capitale che si dilapida tanto rapidamente quanto pazientemente va ricostituito, soprattutto agli occhi di investitori ormai resi smaliziati da una frequentazione pluridecennale dei mercati internazionali.
Ciò detto, risultati tangibili non sono mancati. Per conseguire l’obiettivo di raggiungere gli 80 miliardi di dollari nell’interscambio bilaterale nel 2013 (nel 2011 si è assestato a quota 51 miliardi), l’incontro chiave è stato quello con Lou Jiwei, il presidente del fondo sovrano cinese China Investment Corporation (Cic). Funzionari della Cic, ha ricordato Monti, avevano visitato l’Italia lo scorso anno, ma i manager del quinto fondo sovrano al mondo – con una dotazione stimata in circa 410 miliardi di dollari e quote azionarie in 44 società – erano rimasti perplessi dalla “scarsa flessibilità del mercato del lavoro italiano”, secondo la lettura fornita dal presidente del Consiglio. A fine primavera la Cic tornerà in Italia per un tavolo di lavoro, ma il premier non ne ha precisato l’ordine del giorno. La “collaborazione Cina-Italia in Africa sul fronte delle risorse naturali” è stato l’unico argomento che Mario Monti ha scelto di rivelare alla stampa, che è tornata a interrogarsi su un possibile interessamento cinese all’acquisto di quote Eni.
Cosa succederà nei prossimi mesi non è dato sapere ma, se il premier Wen Jiabao ha scelto di definire pubblicamente “solida” l’economia italiana, il professor Monti deve aver strappato alla commissione esaminatrice dei funzionari cinesi qualcosa di più di una sufficienza.
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