[Yìdàlì 意大利] Ue-Cina, il prezzo delle divisioni

Il ritornello circolato al 15° Summit Cina-Ue, svoltosi a Bruxelles nella seconda metà di settembre, è lo stesso a cui ci siamo abituati negli ultimi mesi: Pechino “esprime fiducia nei passi appropriati che sono stati intrapresi per affrontare la crisi dei debiti sovrani nell’Eurozona”, la Cina “farà la sua parte per aiutare a risolvere il problema del debito europeo”. Ma al di là delle formule diplomatiche standard, quello di Bruxelles è stato soprattutto un vertice interlocutorio, l’ultimo presieduto dal premier Wen Jiabao, che nel giro di qualche mese cederà il posto al suo successore.

Sono passati quasi dieci anni dal primo vertice Cina-Ue dell’era Wen: nel 2003 l’allora neo-primo ministro cinese accolse presso la Grande sala del Popolo il presidente della Commissione europea Romano Prodi e il presidente di turno del Consiglio europeo Silvio Berlusconi. Il trattato di Lisbona non era stato ancora approvato, la crisi del debito pubblico dell’Eurozona nient’altro che una ipotesi di scuola per poche Cassandre.

Ma per altri aspetti, la situazione è ancora simile a quella di un decennio fa: come sottolinea Theresa Fallon su The Diplomat, questioni come la sospensione dell’embargo sulla vendita di armi alla Cina, il riconoscimento dello status di economia di mercato per il colosso asiatico, la protezione della proprietà intellettuale, il rispetto dei diritti umani e un maggiore accesso al mercato cinese per le imprese europee sono temi tuttora all’ordine del giorno, e sui quali il dialogo Bruxelles-Pechino non ha ancora trovato una soluzione. In alcuni ambiti, piuttosto, le relazioni Cina-Ue si sono fatte più accidentate: basti pensare alla recente apertura di un’indagine dell’Unione europea sull’import di pannelli solari cinesi, decisione adottata su pressione di un gruppo di venti produttori europei che accusano la Cina di fornire alle sue aziende aiuti di Stato che falsano la concorrenza. O ancora alla controversa tassa sulle emissioni dannose dei velivoli approvata dalla Ue, che aveva messo in allarme le compagnie aeree cinesi al punto di minacciare la cancellazione delle tratte per il Vecchio Continente.

Che tipo di atteggiamento verso l’Europa manterrà Li Keqiang, erede designato di Wen Jiabao? L’impressione è che, in generale, la Cina stia adottando una politica attendista nei confronti dell’Unione europea. Al di là della retorica sul sostegno all’Eurozona, l’aiuto cinese nella crisi del debito è stato largamente inferiore alle aspettative di molti leader europei e forse, più che dalle formule standard, la vera posizione di Pechino in materia può essere riassunta nelle frasi pronunciate lo scorso ottobre a Parigi dal presidente del board dei supervisori del fondo sovrano cinese China Investment Corporation, Jin Liqun: “Le cause della crisi vanno individuate in un welfare eccessivo e nelle norme sul lavoro che inducono gli europei alla pigrizia. La gente ha bisogno di lavorare più duramente e di lavorare più a lungo. L’Europa faccia le riforme necessarie, e noi interverremo successivamente. Noi vi rispettiamo, per favore, rispettatevi anche voi”. Secondo molti osservatori, inoltre, la crisi dell’Eurozona ha fornito a Pechino l’occasione per incrementare i propri investimenti diretti in numerose nazioni dell’Europa centrale e orientale, accentuando per certi versi le divisioni in seno all’Ue.

L’Europa continua a essere un partner economico fondamentale per la Cina, ma se da un lato Pechino nutre ancora enorme interesse per aspetti quali il trasferimento tecnologico, dall’altro, specie in quest’ultima fase, tenta di sviluppare relazioni privilegiate coi partner più seducenti a seconda dei casi, Germania in primis, ovviamente. Colpa di Pechino o colpa di Bruxelles? Di sicuro, presentarsi divisi dinnanzi al fronte compatto degli interlocutori cinesi non porta alcun beneficio all’Unione europea.

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