La notizia è stata diffusa dal Financial Times la sera del 12 settembre scorso: “L’Italia chiede aiuto alla Cina nella crisi del debito pubblico” titolava il quotidiano britannico. “Secondo funzionari del governo italiano, – si legge nell’articolo – Lou Jiwei, presidente di China Investment Corporation (Cic), uno dei più importanti fondi sovrani del mondo, ha guidato una delegazione giunta a Roma per negoziati con il ministro delle Finanze Giulio Tremonti e con la Cassa Depositi e Prestiti, un’agenzia statale che ha creato e controlla il Fondo Strategico Italiano”. Il giornalista parlava anche di acquisti di “quote significative di bond italiani” e “investimenti in imprese strategiche”; l’articolo proseguiva poi riassumendo i contatti immediatamente precedenti, come la missione del direttore generale del Tesoro Vittorio Grilli, che ad agosto era volato a Pechino per incontrare i vertici di Cic e della State Administration of Foreign Exchange (Safe), l’organismo che controlla le immense riserve in valuta estera cinesi.
Da Washington, dove era in corso un summit del Fondo Monetario Internazionale, il vicepresidente di Cic Gao Xiqing ha sottolineato una decina di giorni dopo che “la Cina non è il salvatore dell’economia europea” e che deve prima pensare “a salvare se stessa”, mentre sempre dallo stesso vertice il ministro delle Finanze italiano dichiarava che quello di Roma “è stato un dialogo a tutto campo su temi economici e finanziari” e che “nessuno ha chiesto nulla”.
Per mettere la notizia nella giusta prospettiva, dunque, è necessario fare qualche passo indietro e ricapitolare le puntate precedenti. L’incontro tra Giulio Tremonti e Lou Jiwei è avvenuto il 6 settembre scorso, ma i solerti funzionari del Tesoro ne hanno dato notizia al Financial Times solamente una settimana dopo, al termine di un lunedì nero in cui il differenziale tra Btp e Bund tedeschi si era avvicinato al record assoluto. Il giorno dopo il divario tra il rendimento dei titoli italiani e dei titoli tedeschi tornava a livelli lievemente più sostenibili – per quanto ancora elevati – forse anche sull’onda delle notizie sull’interessamento di Pechino fatte filtrare ai giornalisti inglesi.
Naturalmente dare un po’ d’ossigeno ai Btp italiani non era l’unica ragione della rivelazione su i contatti tra Cic e Italia. I rapporti tra il fondo sovrano cinese e l’Italia sono di gran lunga antecedenti alla crisi, ed è estremamente improbabile che Cic investa in titoli di debito pubblico, mentre invece potrebbe farlo la Safe, titolata a interventi di questo genere. Tremonti incontrò Lou Jiwei nel corso della sua prima visita in Cina, nel novembre del 2009, e già da allora invitò il direttore del Fondo sovrano in Italia. Contatti successivi ci sono stati nelle visite seguenti (dicembre 2010 e fine marzo 2011), e anche il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il ministro degli Esteri Franco Frattini hanno incontrato i vertici di Cic, rispettivamente nell’ottobre dello scorso anno e nel luglio 2011. Come d’altronde fanno tutti i politici stranieri che si recano in missione in Cina.
China Investment Corporation, inoltre, non investe direttamente in debito pubblico straniero – è un compito che ricade sulla Safe – ma è invece interessata ad “acquisire quote di minoranza di imprese strategiche”, prospettiva confermata dal vertice con Cassa Depositi e Prestiti Spa. Per sgomberare il campo dagli equivoci: se c’è un interessamento di Cic, riguarda pacchetti di aziende italiane, e non debito pubblico. Safe, invece, deve vedersela con l’agguerrita opinione pubblica cinese, che sul web dedica post lunghissimi alla vicenda, invitando il governo cinese a non comprare debito pubblico italiano. Economisti influenti come Hong Tuyong (docente di Finanza all’Università Renmin di Pechino) ritengono tuttavia che acquistare debito pubblico italiano convenga alla Cina perché “come paese debitore Pechino avrebbe diritto a un allentamento delle restrizioni sulle esportazioni italiane di tecnologia” e perché “essendo l’Italia un paese che ha una grande influenza nella zona euro, la Cina migliorerebbe la sua immagine pubblica in Europa” e Pechino, “aiutando a frenare questa crisi del debito, eviterebbe di essere trascinata dallo stesso vortice”.
“Per noi è molto difficile valutare il rischio del debito pubblico italiano, in confronto a quello di altri paesi come Francia o Germania, – ha dichiarato ad AgiChina24 Li Fusheng, capo investimenti all’estero di China Exim Bank –, ma penso che molti investitori cinesi siano interessati ad acquisire i marchi italiani”.
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