La strategia di engagement della Repubblica popolare cinese (Rpc) messa in atto da Giulio Tremonti si arricchisce di un nuovo tassello: al vertice finanziario del G20 di Nanchino, il 31 marzo scorso, il ministro dell’Economia si è trattenuto giusto il tempo necessario per partecipare al panel presieduto da Yu Yongding, studioso di spicco della Chinese Academy of Social Sciences ed ex consigliere della Banca centrale di Pechino per le politiche monetarie. Poi Tremonti è volato subito nella capitale, dove il giorno dopo ha tenuto una nuova lezione alla Scuola centrale del Partito comunista cinese (Pcc). “L’incontro di Nanchino è stato interessante, ma si trattava pur sempre di un seminario” ha detto Tremonti alla stampa italiana, lasciando intendere come l’orizzonte di maggior interesse fosse quello che lo portava a confrontarsi con i leader cinesi nella principale fucina di pensiero strategico cinese.
Per l’uomo forte dell’Economia del governo Berlusconi, i cancelli della Scuola centrale si erano aperti per la prima volta nel novembre 2009: all’epoca Tremonti aveva ripercorso i punti salienti della crisi finanziaria globale e consegnato ai dirigenti del Partito una bozza del “Global Standard”. L’idea, nata dalla presidenza italiana del G8, è stata definita dallo stesso Tremonti “qualcosa che può anche presentarsi come un’utopia”: una carta di regole condivise basata sulle esperienze delle diverse culture mondiali, una sorta di “nuova Bretton Woods” per creare “una nuova atmosfera politica” ed evitare così che “il capitalismo atipico degli hedge fund e dei derivati” sprofondi i mercati in una nuova crisi. In quei giorni a Pechino Tremonti incontrava anche il governatore della People’s Bank of China (la Banca centrale cinese) Zhou Xiaochuan, il Vice Presidente della Rpc Xi Jingping e il direttore del fondo sovrano cinese Gao Xiqing.
Ma mentre il Global Standard procede per piccoli passi, l’avvicinamento del ministro italiano alla Cina avanza più velocemente. Nel dicembre del 2010 Tremonti tornava alla Scuola centrale del Partito in qualità di presidente dell’Aspen Institute Italia per il “China, Europe, U.S. Trialogue”, un forum a tre promosso dalla sezione italiana di Aspen per rinsaldare i contatti tra Pechino, Washington e Bruxelles. È il periodo in cui si teme la guerra valutaria, combattuta a colpi di svalutazioni competitive, con lo yuan cinese al centro di crescenti polemiche e la Fed che reagisce con nuovo alleggerimento quantitativo, pilotando di fatto il dollaro verso la svalutazione. “Forum informali, come questo, aiutano la politica formale – ebbe a dire Tremonti in quell’occasione – e si tratta della prima volta in cui la Cina si fa coinvolgere in un summit del genere. Io credo che la Cina abbia una politica di presenza crescente e soprattutto di responsabilità che Pechino vuole assumersi, e che deve essere condivisa. Tutto sarà oggetto di cambiamenti, ma sicuramente la Cina c’è.”
Si tratta di considerazioni che il ministro dell’Economia ha sostanzialmente ampliato nell’ultima visita a Pechino: il G20 ha gestito la crisi, ma non sarebbe in grado di evitarne una nuova. All’interno del gruppo dei 20 mancano l’Africa e il mondo arabo, non si è riusciti a fissare delle regole per la finanza privata, né strumenti capaci di favorire un dialogo tra economie di mercato e sistemi come quello cinese, guidati da una visione strategica pubblica e non privi di logiche mercantilistiche.
Il ministro italiano dell’economia pare dunque orientato a tessere una rete di contatti globali – tra i quali gli interlocutori cinesi giocano un ruolo fondamentale – utili a favorire la transizione dal G20 a un nuovo sistema. Un sistema capace di riportare la politica al centro della scena, governando le dinamiche autoreferenziali di un certo tipo di finanza privata
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