Dalla fine del regime autoritario di Ferdinand Marcos nel 1986, le Filippine hanno avviato un graduale processo di democratizzazione. Contestualmente, l’economia dell’arcipelago asiatico ha fatto registrare, in particolare nell’ultimo decennio, una crescita media che supera il 6%, trainata principalmente dal settore dei servizi. Si tratta di una percentuale certamente invidiabile, ma che si è scontrata ora con gli effetti dirompenti della pandemia da COVID-19.
Tuttavia, sebbene il Paese possa fregiarsi di una lunga tradizione liberaldemocratica rispetto ad altre realtà asiatiche, l’elezione alla presidenza di Rodrigo Duterte nel 2016 ha evidenziato le profonde contraddizioni politiche e sociali di cui è affetto da tempo. La “guerra alla droga” con le sue feroci uccisioni extragiudiziali, le vaste campagne di disinformazione dirette a screditare oppositori, giornalisti e difensori dei diritti umani, e l’approvazione della controversa legge antiterrorismo sono interpretate come segnali di regressione democratica, che riportano alla mente i soprusi del periodo autoritario.
Questo numero di RISE intende fornire alcuni riflessioni di lungo periodo sulle Filippine di Duterte e valutare alcuni dei successi e dei fallimenti della sua amministrazione. La vittoria dell’ex sindaco di Davao City suggerisce una profonda delusione verso la tradizione liberaldemocratica, che tuttavia deve ancora fare i conti con il ruolo determinante interpretato dalle “dinastie famigliari” nel sistema politico e socioeconomico nazionale. Sul fronte dei diritti umani, invece, l’incidente di Tarlac costituisce un valido esempio di come la gente comune ricorra alla tecnologia digitale per denunciare gli abusi perpetrati dalla polizia. Il numero ospita anche un articolo sulla guerra alla droga, esaminata da una prospettiva religiosa. Infine, non manca l’approfondimento sullo stato attuale dell’economia del Paese, che nella prima metà del 2020 ha perso circa 7,5 milioni di posti di lavoro.
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