Governance e istituzioni al di là dello stato

Human Security n. 10

Con l’approvazione dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile nel 2015, la comunità internazionale ha cercato di superare l’idea che lo sviluppo sostenibile sia unicamente una questione ambientale ed economica affermando invece una visione integrata dello sviluppo che ne valorizzi anche e soprattutto la dimensione umana e sociale. Non solo, con l’Agenda 2030 la comunità internazionale ha anche cristallizzato l’idea che sviluppo e pace siano due facce della stessa medaglia, raggiungibili solamente in tandem grazie a buona governance e istituzioni forti che siano trasparenti, efficaci e responsabili (Sustainable Development Goal 16, SDG 16 nell’acronimo inglese).

Nonostante l’Agenda 2030 parta dal presupposto che per essere “buona” la governance deve essere inclusiva e rappresentativa di tutte le frange della società, questo piano d’azione per lo sviluppo globale si concentra principalmente sui sistemi di governo formali, riflettendo una più ampia tendenza della comunità internazionale a concepire società, stati e governance in modo meccanicistico e tecnocratico. Nel tentativo di offrire ai lettori una riflessione più ampia, questo numero di Human Security è dedicato alle forme alternative di governance che emergono in situazioni di conflitto, debolezza statale e scarsa sicurezza umana.

Come sottolinea anche Mats Berdal, direttore del Conflict, Development and Security Research Group del King’s College London, l’obiettivo non è però quello di romanticizzare sistemi e istituzioni informali, ma di decostruire l’idea di stato weberiano e sfumare le distinzioni binarie tra stato e non-stato, legittimo e non-legittimo, governance e non-governance per meglio comprendere l’impatto – complesso e trasformativo – che guerre e conflitti violenti hanno sulla società e le realtà politiche ed economiche che vengono create di conseguenza.

Sempre guardando al ruolo dello stato nell’attuale contesto globale, Fabio Armao, docente di Urban Security e di Politica e Processi di Globalizzazione all’Università di Torino, si interroga su come la proliferazione di forme ibride giuridiche al di là dello stato stia cambiando l’economia del potere nella società globalizzata, portando anche all’emergere di attori in grado di sfidare direttamente il potere statale: i responsabili dei cosiddetti white-collar crime e i mafiosi.

Fra i cardini dell’Agenda 2030, in generale, e dell’SDG 16, nello specifico, vi sono anche la lotta alla corruzione e l’equo accesso alla giustizia. Benché spesso trattati come due fenomeni distinti, nel suo articolo Edgardo Buscaglia, Senior Research Scholar alla Columbia University, spiega attraverso un’analisi giurimetrica come i crescenti livelli di corruzione siano sempre associati a una maggiore presenza di reti di criminalità organizzata e che più questi attori riescono a integrarsi nel settore economico meno lo stato è in grado di garantire l’accesso alla giustizia formale, spingendo quindi la popolazione ad affidarsi a meccanismi alternativi di risoluzione delle controversie.

Partendo invece da una ricerca etnografica, David Brenner, docente di International Relations presso Goldsmiths, University of London, dimostra come in alcuni contesti – come quello del Myanmar – sia proprio lo stato a rappresentare una delle principali fonti di insicurezza per gran parte della popolazione e che, quindi, la promozione di società pacifiche, giuste e inclusive debba necessariamente tenere in considerazione la dimensione etno-politica del conflitto per poter coinvolgere quelle istituzioni che si collocano al di là dello stato formalmente inteso e che contribuiscono direttamente ad aumentare la sicurezza umana delle comunità locali.

Sulla stessa linea e in chiusura di questo numero di Human Security, Francesca Fortarezza, laureata in Scienze Internazionali all’Università di Torino, riflette su come contestualizzandolo in realtà “ibride” come quella messicana, l’SDG 16 sia esposto a due incomprensioni fondamentali: quella dell’oggetto – cioè della situazione da trasformare – e quella del risultato da ottenere – cioè della condizione di pace, giustizia e sicurezza da raggiungere.

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