Radio Vaticana – 27 marzo 2017

Massimiliano Menichetti intervista Giovanni Andornino sulla vitoria di Carrie Lam alle elezioni di Hong Kong. 

 

Carrie Lam, 59 anni, candidata sostenuta da Pechino, è stata eletta a capo del governo di Hong Kong. Già numero due nell’amministrazione uscente è la prima donna a ricoprire il mandato quinquennale della ex colonia britannica, tornata nel 1997 sotto la sovranità della Cina popolare. Nel 2014 la leader tentò di trattare con il cosiddetto “movimento degli ombrelli” che rivendicava elezioni a suffragio universale. Massimiliano Menichetti ne ha parlato con Giovanni Andornino, docente di Relazioni internazionali dell’Asia Orientale all’Università di Torino e vicepresidente di “Tway”, Istituto non-profit per la ricerca e studio in materia di politica globale e sicurezza.

econda donna che raggiunge una posizione apicale nel sistema politico di una parte dell’universo cinese; la prima è stata la presidente di Taiwan eletta non molto tempo fa. In questo caso l’elemento di genere è stato meno evidente nel dibattito, perché quest’ultimo è tornato a polarizzarsi sul fatto che la candidata fosse in modo molto aperto prediletta da Pechino, a dispetto di quanto previsto dalla legge fondamentale della città di Hong Kong.

D. – Nel 2014 la leader trattò con il cosiddetto “movimento degli ombrelli”, lo ricordiamo, una realtà non violenta che rivendicava elezioni a suffragio universale. Qual è la situazione?

R. – Sostanzialmente è questa: vota un collegio elettorale di circa 1200 soggetti che sono espressione di varie associazioni editoriali, professionali, insomma di un’oligarchia che per buoni due terzi tende ad essere condizionata per via diretta o indiretta da Pechino. In effetti anche colleghi e accademici studiosi cinesi accettano che la società hongkonghina sia suddivisa tra un 60 percento abbondante che ha passione democratica e che vorrebbe “una testa, un voto” e una parte residuale di circa il 30 percento che è pro Pechino.

D. – Alcuni esponenti della protesta degli ombrelli, si legge oggi sulla testate internazionali, temono ritorsioni. Carrie Lam in conferenza stampa ha subito ribadito che la priorità è unificare la città, sanando le divisioni …

R. – Credo che lei si riferisca principalmente a divisioni di carattere socio-economico. Carrie Lam aveva in mano il dossier della questione della riforma politica perché era la numero due nell’amministrazione uscente e in questa chiave ha condotto il dialogo con la protesta nel 2014. Però ha esplicitamente evitato di menzionare la richiesta che viene da buona parte della società hongkonghina di un ulteriore round di discussioni, perché la riforma che effettivamente avrebbe potuto esserci e che era stata impostata a Pechino in modo, tra l’altro piuttosto restrittivo nel 2014, è stata poi rigettata dal Consiglio legislativo di Hong Kong del 2015. Quindi a tutti gli effetti le recenti elezioni sono appena avvenute con il sistema elettorale precedente e quindi non riformato.

D. – Nel 1997, dalla Gran Bretagna, Hong Kong è tornata alla Cina. È in vigore una cosiddetta mini Costituzione. Com’è la città venti anni dopo?

R. – L’aspetto più qualificante di questa legge fondamentale prevede che il sistema giuridico, sociopolitico ed economico di Hong Kong sia autonomo rispetto a quello della Repubblica popolare cinese, sotto la cui sovranità naturalmente Hong Kong è tornata. Quindi questa è l’incarnazione sostanziale del principio di un’unica Cina, ma con due modelli distinti, un Paese due modelli. In questa legge fondamentale – che è derivata dagli accordi intrapresi dal governo cinese con quello britannico – si dice che per 50 anni Hong Kong mantenga la sua fisionomia peculiare. A distanza di venti anni – in realtà Carrie Lam sarà in carica nel 25.mo anniversario, quindi proprio a metà di questi 50 anni – l’erosione delle libertà che avevano caratterizzato Hong Kong nel ventennio precedente si nota in modo distinto. Quindi sarà decisivo capire se nell’arco del quinquennio di mandato della Lam vedremo una tutela di queste libertà, di questa autonomia, oppure un’ulteriore erosione che potrebbe far diventare Hong Kong una normale città cinese al Sud di Guangzhou.

 

Ascolta il podcast dell’intervista qui.

 

Giovanni B. Andornino is the President of the Torino World Affairs Institute and Head of its Global China Program. He is an Assistant Professor of International Relations of East Asia at the University of Torino and the Secretary General of the China-Italy Philanthropy Forum.

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